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Il progetto 18M8L (18 Mesi, 8 Luoghi) è nato con l’obiettivo di creare un’alleanza fra organismi di produzione della danza (mk/KLm – leader del progetto, VANTIR DanzaSpellboundChiasma) e una rete di 9 festival, spazi e compagnie internazionali: Herengracht 401 (H401) ad Amsterdam (Paesi Bassi), Festival Dansat / Aliansat a Barcelona (Spagna), Be Festival a Birmingham (Regno Unito), Ehrenfeldstudios e.V. a Colonia e Schaubühne a Lipsia (Germania), Théâtre Sévelin 36 a Losanna (Svizzera), Klap e La Fabriks (LFKs) a Marsiglia (Francia), Tipperary Dance a Tipperary (Irlanda).

Innescando processi di scambio e condivisione, 18M8L si è posto come un esperimento di coabitazione e collaborazione che ha l’obiettivo principale di salvaguardare uno spazio e un tempo per la ricerca e le riflessione – contro i ritmi iper-produttivi a cui il sistema è sottoposto – e che consenta di ripensa il nostro modo di lavorare, promuovere e distribuire, produrre, coinvolgendo in maniera trasversale l’ecosistema della danza (performer, coreografi, danzatori e producer, promoter) e disegnando nuovi modelli sostenibili e inclusivi.

In linea con le sollecitazioni delle reti Europee sulla deep mobility, provocatoriamente, 18M8L ha tentato di reinventare il concetto stesso di mobilità riconvertendola in una nuova forma di stanzialità, intesa come una capacità di permanenza e ancoraggio con i luoghi e le persone: le visite sono state pensate come uno spazio e un tempo dedicati a esplorare contesti e creare connessioni con le comunità e i professionisti locali.
Attraverso un calendario di visite presso i partner stranieri e una road map di incontri digitali, 18M8L ha sperimentato nuove forme collaborative fra artisti/e, programmatori/trici, producer attivando una riflessione sullo scenario globale in rapido cambiamento a causa (non solo) della pandemia.
Per ogni azione di spostamento attuata da artist*, operator* e producer è stato realizzato un racconto, uno storytelling restituito attraverso un collage di immagini, testi, ascolti e suggestioni che sono stati pubblicati sul sito www.18m8l.eu
Il progetto si è concluso il 18 settembre 2022 con un incontro finale dei partner della rete italiana e internazionale, che si sono riuniti a Roma per una restituzione finale dei risultati di progetto.
Il progetto è stato sviluppato con il contributo ed il supporto della Direzione Generale Spettacolo – MiC per la call Boarding Pass Plus 2021 – 2022.

Qui di seguito pubblichiamo alcuni estratti dei diversi materiali prodotti durante le visite di 18M8L
Kick off meeting a Barcellona in collaborazione con Alian Sat!, 22- 24 ottobre 2021

18M8L action #2: Barcelona, Spain
DIARY OF THE VISIT

21 Ottobre 2021 Should I stay or Should I go?

Arriviamo a Barcellona con aerei provenienti da più parti di Italia. Troviamo un bar e
immediatamente ci chiediamo:
Perché siamo qui? Cosa cerchiamo? Quali sono le urgenze che ci spingono a viaggiare
attraversando una Terra che ci chiede di farla respirare?
Respiriamo per lei e prendiamo una cerveza. Inizia la seconda tappa del nostro progetto #18M8L Boarding Pass Plus, la prima che vede tutti i partner insieme: Carlotta Garlanda per MK, Valentina Marini, Mariagiovanna Esposito e Dalila D’Amico per Spellbound Contemporary Ballet, Marco D’agostin per Van, Fabritia D’intino per Chiasma, Silvia Albanese e Nicola Galli (in ritardo per la birra) per Tir Danza. Ci incamminiamo verso il DanSat Festival. Il SAT! (Sant Andreu Teatre) è uno spazio dedicato alle arti performative con due filoni principali di programmazione: il teatro per le scuole e la danza contemporanea, gestito dalla Sat alliance una direzione condivisa di cui fa parte il coreografo Thomas Noone, instancabile cicerone per questo nostro viaggio. Lo spettacolo non ci convince, ma è interessante che lo spazio dia visibilità a compagnie emergenti e all’emersione della creatività locale.

22 Ottobre 2021 Quello che succede in Catalogna resta in Catalogna

Uno dei primi luoghi che visitiamo è La Caldera, un centro di creazione danza che promuove la ricerca artistica legata al corpo. Accompagna il lavoro degli/le artiste nella lunga durata generando contesti per la circolazione del loro lavoro. Un posto pubblico e privato allo stesso tempo, fondato 25 anni fa da 15 artisti associati.
Ci dice il direttore artistico Oscar Dasì (scelto tramite una call pubblica): “Questo spazio era prima un cinema, di cui conserva degli schermi e prima ancor un’industria automobilistica, è stato concesso dal Comune di Barcellona che ha creato un network di fabbriche di creazione con diverse funzioni. La nostra non è quella di programmare, ma di creare continuità di relazione con gli/le artiste supportate. Lo facciamo accompagnando il loro lavoro nelle varie fasi, collaborando con festival come il Salmon e altri centri di creazione della città”.
Uno dei progetti rappresentativi è Brut Nature, un dispositivo che mette in relazione gli/le artiste ospitate in residenza, per continuare a sviluppare i loro progetti individuali ma anche, e soprattutto, per entrare e lasciarsi contaminare dagli universi creativi degli/le altre.
Chiediamo:
La rete è informale o ha un protocollo?
Non capiamo la risposta, ma sostanzialmente è chiaro che esistono progettualità comuni, come il festival Salmon e che gran parte delle attività siano volte a sostenere artisti catalani in maniera circolare.
Avete supporti pubblici? O applicate su diversi fondi?
“Riceviamo fondi pubblici: Dal Governo della Catalogna, Dal ministero e dal comune. Molte delle attività offerte sono gratuite”.
Avete collaborazioni internazionali?
Si, ma non è il principale interesse. Meglio non inviare applicazioni dall’Italia.

Prendiamo un treno verso Sabadel per visitare un altro centro di creazione: L’estruch.
Nel viaggio condividiamo delle perplessità: Il lavoro de La Caldera ci risulta interessante per la vocazione a curare i processi artistici, per il disinteresse al prodotto e alla restituzione, per l’organizzazione organica dei diversi centri in rete, per l’attenzione alle comunità locali e al
territorio ospitante. Ma:
In un momento storico in cui il cambiamento climatico e i nuovi ecosistemi generati dalla pandemia, ci impongono con maggior forza di rivedere i nostri modelli di distributivi, di tenere insieme sostenibilità economica, ambientale e circuitazione, perché ci stona l’idea dell’investimento esclusivo sull’arte locale?
Ci trasciniamo i mostri derivanti dal “prima gli italiani” non riconoscendo la portata di un sistema generativo di scambi e sostenibilità reciproca? O è effettivamente limitante un modello autorefenziale che si privi delle interferenze culturali? Riusciamo a concepire modelli non competitivi?
Arriviamo a Sabadel e mettiamo a tacere i nostri dubbi con un pranzo. Poi iniziamo il nostro tour nel centro. Attivo dal 1995, L’Estruch è una fabbrica creativa dedicata alla produzione, diffusione e formazione artistica contemporanea: arti performative e circensi, arti visive, arti digitali, musica. È una struttura pubblica, amministrata direttamente dal Comune. La direzione artistica non ha una durata definita per il proprio mandato e funge da coordinatrice delle diverse aree, curate da altrettante figure. Ci portiamo a casa altre domande.

23 Ottobre 2021 È davvero possibile risolvere i conflitti?

Thomas Noone ci porta a visitare il Graner, un centro per la creazione di danza e arti performative situato in una vecchia fabbrica di lampadine situato nel quartiere La Marina di Barcellona. Ci accoglie la neo direttrice Sonia Fernández Lage che da subito dichiara di essere appena arrivata e di star ancora prendendo confidenza con il posto ed il suo ruolo. Ci spiega che Graner è uno spazio interessato a sostenere la ricerca artistica, la sperimentazione e l’interazione con la comunità territoriale attraverso progetti educativi e di engagement. A livello organizzativo è strettamente connesso al teatro Mercat de les Flores, il principale della città. È la prima direttrice che incontriamo che problematizza l’autoreferenzialità della cultura catalana, la propria posizione, l’ecosistema dell’istituzione che rappresenta. Ma soprattutto la prima a chiederci: chi siamo e che facciamo.
Finita la visita facciamo un salto in spiaggia, abbiamo bisogno di guardare il mare prima della tavola rotonda pomeridiana. Qualcun_ fa il bagno.

23 Ottobre 2021 pomeriggio: tavola rotonda

Il nostro eroe Thomas Noone ci mette in relazione con diversi soggetti della città con una tavola rotonda ospitata al Sat. Insieme a noi, Semilinka Tomic (director, Antic Teatre), Emma Riba (artist, La Súbita / Aliansat), Kiko Lopez (artist, Aliansat), Jacob Gomez (artist, Aliansat), Miquel Barcelona (director, La Turbo Creation Space).
Partiamo da tre topic: internazionalizzazione, prossimità, sostenibilità

Che significato assume nel vostro operato il concetto di internazionalizzazione nel contesto
pandemico? È cambiato qualcosa rispetto a prima? L’ambiente digitale è un’occasione o una
necessità? Sentiamo che il nostro lavoro sia sostenibile? O Cosa potremmo fare per renderlo tale?

La tavolta rotonda si anima e gli scambi sono molto accesi. Ci rendiamo conto di avere in comune più problematiche da risolvere che progetti da scambiare: Non esiste ancora uno statuto d’artista, un documento che protegga il lavoro culturale in quanto lavoro. Pur riconoscendo l’impatto sull’ambiente di tour mordi e fuggi, gran parte delle compagnie si alimenta attraverso il mercato internazionale. Alla sostenibilità ambientale dovrebbe aggiungersi quella economica, ma anche e sopratutto quella energetica che spesso viene a mancare. La pandemia ha messo in luce maggiormente problemi già esistenti. Per rompere il corso di quella che potrebbe diventare una terapia di gruppo decidiamo di cambiare format e rendere performativo il nostro dialogo muovendoci nello spazio. A ciascuna posizione è assegnato un valore: locale, globale, sostenibile. Ci ritroviamo ad occupare luoghi fisici nella sala a volte radicali, a volte mediani. Forse è impossibile risolvere i conflitti interni al nostro lavoro, probabilmente le soluzioni nette ci costringono a rinunciare a qualcosa.
A cosa siamo disposti/e a rinunciare? L’internazionalizzazione è vocazione o talvolta migrazione? Investire sul locale ci priva del confronto e della crescita? Possiamo uscire dal pensiero dicotomico? Una soluzione esclude l’altra? Come fare a curare le relazioni umane a dispetto dei tempi imposti dal mercato? Come fare a dar maggior importanza al processo di ricerca aggirando le tempistiche che il sitema ci chiede, ma soprattutto il feticismo del prodotto finale?

In chiusura chiediamo di lasciarci su una lavagna un souvenir, un segno, un disegno, una parola chiave, una domanda da portarci a casa dal nostro viaggio. Il muro del Sat diventa una costellazione di pratiche e discorsi che tracciano le connessioni, le relazioni e le contraddizioni che il nostro ecosistema ci chiede di attraversare. Forse un giorno sarà bene fermarsi a guardale, per il momento ce le portiamo dentro come marche genetiche di un organismo perennemente in movimento da fermo, costantemente inebriante, che abbiamo scelto senza scegliere, che proviamo a cambiare, con passione, nella fretta tra un check in e la scadenza di un bando.

18M8L-Barcelona-diary-of-the-visit

Visita a Colonia in collaborazione con Emanuele Soavi In company, 20 – 23 aprile 2022

Visita ad Amsterdam e Bruxelles in collaborazione con H401, 8 -10 maggio 2022

18M8L action #6 Amsterdam/Bruxelles
DIARY OF THE VISIT

9 Maggio 2022

Questa tappa di Boarding Pass Plus di 18M18L ha come partner il centro culturale H401. Research, art and dialogue di Amsterdam e come referente il suo co-direttore Lars Ebert. La tappa coinvolge Carlotta Garlanda e Sebastiano Geronimo per MK, Fabritia D’Intino e Salvo Lombardo per Chiasma e Dalila D’Amico per Spellbound Contemporary Ballet. Il primo giorno siamo invitati da Lars a Bruxelles per assistere all’evento finale di Amplify: Make the Future of Europe Yours, un progetto europeo che coinvolge 12 Paesi con lo scopo di porre in evidenza le voci sottorappresentate nei settori culturali (artisti, studenti, operatori, attivisti e comunità) e presentare istanze e desiderata alla Conferenza sul futuro dell’Europa.
La Conferenza sul futuro dell’Europa è la prima iniziativa coordinata dalle istituzioni europee per offrire un forum aperto, inclusivo e democratico su una serie di dibattiti guidati da cittadini e cittadine su questioni cruciali che modellano o potrebbero modellare il futuro dell’Europa: il sistema economico e sociale, le culture, l’istruzione, la salvaguardia dell’ambiente e del clima, un’occasione per ripensare il vecchio Continente collettivamente.
Il tram che ci porta alla stazione si ferma per un guasto, iniziamo a correre verso la stazione e riusciamo a prendere al volo il nostro treno. Quando si placano i respiri e i battiti cardiaci ci guardiamo ridendo e chiedendoci: cosa intendiamo per sostenibilità in relazione al nostro progetto? Ambientale? Economica? Fisica? In quel momento nessuna delle tre accezioni ci sembra rispondere al nostro stato psico-fisico. Siamo tutti e tutte arrivate li gonfiando una bolla nella bolla nei nostri flussi lavorativi, abbiamo pagato non poco per viaggi e hotel producendo non poco impatto ambientale per una tappa di soli due giorni e mezzo. Sospendiamo le risposte.

Arriviamo a Bruxelles, passeggiamo, ci godiamo la giornata primaverile e raggiungiamo Lars. Assistiamo al panel Culture as a political language degli studenti d’arte Carles Hidalgo, Zahra Rafaella Jorisse, Laura D. Kelemen, Ben Maier, Christina Maridaki, Noelia Martìn-Montalvo, Amy Opstal, Lina Selg che intrecciano pratiche artistiche a istanze attiviste accendendo degli spot su dinamiche complesse che riguardano il rapporto tra corpi, soggettività politiche e società.
Nel pomeriggio Lars ci prepara una cena nel suo incantevole Loft organizzando un “meeting” informale con Romy Roelofsen, co-direttrice artistica di Het Geluid Maastricht, regista e perforrmer; Abel Enklaar, media artist e docente universitario; Rabiaâ Benlahbib ricercatrice e direttrice di Creative Court, un’iniziativa con sede all’Aia che sviluppa progetti di ricerca artistica e basati sulla relazione con la giustizia sociale; Micol Virginia Manunt, studentessa.
Ci presentiamo e capiamo che quello che accomuna le persone attorno al tavolo di Lars è un “also”, un’impossibilità di definirsi in un’unica figura, identità, professione, passione. Ci muoviamo tutti e tutte a cavallo tra più desideri, progetti, contesti lavorativi tanto da considerare quel “also” il luogo in cui risiede la natura ibrida ed eclettica delle nostre vite.
Riprendiamo il treno e rientriamo ad Amsterdam provando a darci qualche risposta alle domande del mattino: se guardiamo alla sostenibilità come un obiettivo da raggiungere, un ennesimo prodotto da generare, un protocollo da stilare, in definitiva una risposta da fornire, restiamo imbrigliati nella dinamica della performatività continua e a tutti i costi che permea gran parte degli aspetti delle nostre vite, personali e professionali. Quella che ti chiede di produrre senza pensare alla destinazione d’uso della produzione, alla sua funzione, alle relazioni che innesca, ai costi umani, oltre a quelli economici, alle formule. Forse la sostenibilità non è circoscrivibile in una formula data, in un modello da replicare finché la si pensa nei termini di qualcosa da raggiungere, che inevitabilmente lascia indietro altro. Servirebbe intrecciare diverse prospettive senza arginarsi in un solo campo: ambientale, psico-fisico, economico. Si può tenere tutto insieme? Si può pensare la sostenibilità in termini di processi e relazioni piuttosto che di risultati? Se corro per prendere un treno e non riesco a raggiungerlo, cosa mi perdo? Cosa guadagno? Chi può correre con me? Forse questa bolla nella bolla è uno spiraglio di ossigeno? Un modo per fermare le centrifughe in cui siamo immersi/e e guardarci?

 

10 Maggio 2022

Pranziamo insieme cercando di mettere ordine alle nostre idee prima delle visite programmate per il pomeriggio. Diamo forma alla nostra presentazione seguendo le task di una pratica proposta da Salvo e Fabritia, ovvero presentarci attraverso un oggetto che possa dire qualcosa di noi in riferimento al focus del nostro progetto “la mobilità”, senza necessariamente schiacciarci sulla nostra professione o sull’istituzione che rappresentiamo. Il desiderio è quello di generare riflessioni e domande, senza sentire l’obbligo di fornire risposte. Lasciare le porte aperte e far galleggiare dei pensieri.

Dopo pranzo visitiamo l’H401. Research, art and dialogue e conosciamo la sua storia. H401 è una fondazione privata situata nell’edificio Herengracht che era appartenuto all’artista Gisèle d’Ailly.
È un luogo di ricerca interdisciplinare che indaga la condizione umana in tutte le sue contraddizioni, in particolare il rapporto tra soggettività collettive, individuali, sociali, tecnologie e memorie storiche stratificate. La ricerca accademica e artistica in H401 va di pari passo con la ricerca performativa e partecipativa, con residenze, mostre, eventi, think tank e pubblicazioni. Lo stesso edificio è una sorta di “lasagna” ci dicono, una casa a più piani, ciascuno dei quali testimone di un passato storico importante che si relaziona continuamente al presente.
L’edificio Herengracht 401 di Gisèle d’Ailly durante la seconda guerra mondiale, era infatti stato un luogo di accoglienza e rifugio per un gruppo di giovani ebrei. Oggi è un archivio storico e uno spazio che raccoglie le opere dell’artista e si collega in modo critico al passato, mantenendo la vocazione all’ospitalità, non solo di ricercatori, studiosi e artisti, ma anche di persone vittime di abusi sessuali.

Subito dopo ci spostiamo all’Università di Amsterdam, Dipartimento di Amsterdam School for Heritage, Memory and Material Culture dove ci viene presentato il progetto SPEME che prevede la collaborazione di sei partner tra università internazionali e spazi espositivi e indaga una vasta gamma di contesti della memoria, come musei, ex campi di detenzione e siti di commemorazione, per esplorare come diversi eventi passati traumatici possano essere conservati e trasmessi attraverso lo spazio, promuoverne la conoscenza e avere ricadute sul presente.
Conclusa la presentazione inizia il nostro sharing strutturato sulla base delle sollecitazioni di Salvo e Fabritia. Inizia Sebastiano con un warm up basato sui neuroni a specchio, che facciamo da seduti. Inizialmente chi partecipa sembra impacciato, ma il concentrarci sul copiare i movimenti di Sebastiano ci riporta al presente, al nostro corpo, ad un qui e ora che condividiamo con altre persone conosciute fino ad allora solo tramite la parola. Il gesto ci richiama all’attenzione e distende il clima prima delle nostre presentazioni:

L’oggetto di Carlotta è un piccolo diario che contiene tracce di ogni suo giorno e rappresenta la tensione tra stabilità e movimento continuo. Cosa ci tiene fermi nella mobilità? Cosa congiunge il
nostro passato, presente e futuro quando siamo in movimento?

L’oggetto di Dalila è un libro “Felicemente Seduta”, la biografia di una donna con disabilità fisica e l’impatto dell’abilismo sulla percezione di se. Quando pensiamo alla mobilità artistica, sia in termini di spazi attraversati che in termini di internazionalizzazione, quali corpi abbiamo in mente? Che tipo di mobilità?

L’oggetto di Sebastiano è una trottola. Un oggetto che rimanda al movimento rotatorio in scena di uno specifico spettacolo, ma anche a quello interiore e fisico che implica l’essere un danzatore. Spostamento perpetuo.

L’oggetto di Salvo è la sua carta di identità coperta da scontrini e stickers collezionati durante i viaggi. L’azione di “celare” la propria identità attraverso una stratificazione di segni rimanda al bisogno di rivendicare un’opacità rispetto alla trasparenza giuridica richiesta nell’atto del viggiare. Costruire un’opacità per decostrure identità e privilegi.

L’oggetto di Fabritia è la sua carta di identità, un oggetto che le ha consentito di formarsi come danzatrice prima ad Amsterdam e in seguito in Messico, ma anche di scoprire che nella mobilità (internazionale) non c’è reciprocità. Un medesimo oggetto non ha lo stesso valore per tutti. Considerando il concetto di mobilità, cosa è il privilegio e su cosa si costruisce?

Il flusso di oggetti sollecita delle riflessioni:
Quando sono stabile in qualche posto la mia testa è in movimento. Ma essere in movimento mi
consente di fermare la testa.
Siamo mai davvero fermi?
Se hai esperienze drammatiche, le rivivi continuamente e non riesci a muoverti.
La mia identità non può essere legata né al mio luogo di nascita, né a quello in cui vivo.

Dopo di noi, si susseguono due interventi:
Camilo Forero (Bogota), The essentialism of the victim: dehumanizing people
Lorena Villate (Bogota), Narratives of female exile as an act of political resistance: the Colombian case.

Anche i due interventi ci fanno interrogare sui frame gerarchizzanti che applichiamo alle soggettività. Se Spostiamo l’accento dalla mobilità artistica a quella politico-sociale, non solo ci salta all’occhio quanto sia un privilegio poter riflettere “su modelli sostenibili e non competitivi”, ma anche che, quando ci riferiamo alla mobilità di comunità, sembra instillarsi un divario di “scala” tra chi scappa da una guerra o situazioni politiche e chi scappa perché non ha modo per sopravvivere. Chi ha un colore della pelle scura e chi chiara. C’è un modo di sfuggire alla logica polarizzante e gerarchizzante che si frappone tra persone, concetti, oggetti, spazi e culture e che misura e costruisce soggetti appiattendo soggettività e identità?

Possiamo ampliare le maglie del concetto di mobilità facendovi precipitare anche conflitti, contraddizioni, rischi, e privilegi? Possiamo concederci la possibilità di non risolvere le contraddizioni o nascondere i conflitti? Si può pensare la sostenibilità in termini di conflitto? È possibile declinare il concetto di sostenibilità in maniera prismatica, tenendo conto di una pluralità di esigenze psico-fisiche, sensoriali, culturali, geo-politiche, ambientali e intrecciando il livello individuale a quello collettivo e politico? Quando la sostenibilità smette di essere un punteggio da colmare, un tema da trattare, una keywords da utilizzare e diventa strategia politica, relazionale estetica? È possibile considerare che per ogni percorso praticato ne stiamo escludendo un altro? Come tenere insieme tutti quanti gli “also”?

Partners meeting conclusivo al Teatro Palladium di Roma, 18 settembre 2022: (report  di Caramelli)

Manifesto per la mobilità culturale nel Mediterraneo a cura del Fondo Roberto Cimetta

Il Manifesto è stato presentato nell’ambito dei Digital Gatherings, gli incontri digitali di 18M8L