CAPOLAVORO 1

23 marzo 2022

Jannis Kounellis, S.T. (Margherita di fuoco), 1967.
Ferro, becco con collettore, tubo di gomma, bombola a gas 100 cm diam. e 24 cm base

ore 20-22, Jannis Kounellis, S.T. (Margherita di fuoco), 1967 ore 21, Lettura di testi di Jannis Kounellis, voce di Carla Tatò

S.t., 1967 (Margherita di fuoco) è un fiore fatto di petali di metallo e dal cui centro esce una fiamma, un calore interno, che implica una metamorfosi di materiali capace di trasformare lo stato delle cose e il mondo. Dice Kounellis: “per me la fiamma e il pappagallo (riferendosi a un’altra sua opera ndr) sono la stessa cosa, una cosa viva che si manifesta in modo aggressivo, ma né il fiore né il pappagallo avrebbero un senso se non avessero un supporto di ferro. Sono vivi e reali, ma sono segni di un’immagine costruita su un supporto, quindi in fin dei conti sono pitture. A chi mi chiede se sono un pittore realistico rispondo di no. Il realismo rappresenta, mentre io presento.”

S.t.,1967 è stata realizzata per la mostra: Lo spazio degli elementi. Fuoco, Immagine, Acqua, Terra presso la Galleria l’Attico, Roma.

LA PERDITA DEL PUNTO DI VISTA

di JANNIS KOUNELLIS

 

10
Ho sul corpo delle macchie di piombo,
solo sul petto ho 30 macchie di piombo,
sulla fronte ho delle macchie di piombo,
dentro ai capelli ho delle macchie di piombo,
ricordo i giorni lontani quando lasciavo le onde del lago accarezzare la mia pelle libera,
ma la pelle macchiata che ho scoperto ieri
è oggi la mia verità autentica.

12
Dal 14 gennaio del 1969 ho scoperto di essere un assassino,
da allora, tutte le volte che ne ho avuto l’occasione, ho praticato con deciso edonismo quella mia perversione,
ed oggi, dopo tanti anni, penso che questa maschera di libertà sia la mia vera identità.

14
Le vie respiratorie sono chiuse, non posso più essere un naufrago.
Il futuro è breve, ho l’urlo in gola,
ho la memoria ballerina,
non ricordo più la via che dalla collina porta al paese,
non ricordo più il credo della mia fede,
non ricordo più il volto di mia madre.

16
Mi dicono che non esistono soluzioni,
la prigionia nel mio caso è quasi ereditaria,
ma io elaboro con pazienza un piano di fuga.

18
Attraversiamo insieme il lago Vittoria, attraversiamo le foreste secolari, attraversiamo l’Etiopia, l’Eritrea, l’Egitto, il canale di Suez, il deserto, Israele,
attraversiamo il tempio di Salomone
attraversiamo la Siria, l’Irak, l’Iran,
e poi forse un altro deserto,
e una grande città che sta in fondo all’orizzonte e poi forse l’oceano pacifico, e un’altra città.
Adesso che Itacca è morta il viaggio è una pura curiosità

20
Ti odio isola dei morti, non ho niente da perdere, ti aspetto, alle 8 al solito bar del teatro.

22
Questa isola senza nave, come faremo a spedire un messaggio e dove,
e perché segnalare la propria presenza,
a cosa serve dire che la “tempesta” di Giorgione è veramente unica, vista dall’isola.
Dentro la chiesa, il quadro sembra come il fantasma di una zingara scolpita su una superficie di alabastro.
Forse domani scriverò due righe in proposito,
pur sapendo però che su questa isola non arrivano mai le navi.

24
La prossima salita non porta a nessuna oasi, l’antico Golgota è privo della figura di Cristo, la croce di legno con la scritta in latino e Giudaico, “Jesus Nazarenus Rex Judaeorum”, è polverizzata, o l’hanno nascosta in una tomba pagana, oppure trasportata con una nave non si sa dove ?

26
Comunque è sparita e io che sono pittore ho perso di vista quel modello, madre di molte immagini, come posso fare ancora un quadro,
come posso sopravvivere senza dramma, senza tradizione, come posso immaginare il viaggio finito, dove posso nascondere un giorno la mia logica, a chi devo regalare l’ultimo disegno.

28
Vittoria, il tiranno è morto, la gabbia ideologica è finita, il filo d’oro, che nasce dalle viscere del labirinto e si perde nella memoria dei tempi, attraversa mare e monti fino alla porta della casa in Etiopia, fino al letto dove dorme Rimbaud, l’uomo diverso, l’uomo nuovo.

32
Si può pretendere: ho la forza per chiedere di non rinunciare al filo ombelicale che mi unisce alla terra, possiedo il volto che merito, la storia è stata clemente, ha inciso dentro la mia bocca l’inizio di un respiro antico.

34
Quel Satana di vitalità e di promesse ha vinto, posso dunque donargli la mia vita senza ripensamenti, ma non gratis.
Io, voglio il lago nella collina che ho sognato da ragazzo.

GALLERIA

40
Si tenta di dire “no” come nei vecchi tempi
perché non si vuole accettare che Itacca sia morta, perché si spera che dentro al bosco, in una casa semi abbandonata vive un mostro o un santo, un pittore anomalo con un disegno positivo per la testa, che ogni giorno, nel tardo pomeriggio si mette a dipingere il tramonto.
La sua voce è un urlo ambiguo fra lo stridore dei freni di un treno e le sirene dei pompieri ma ha dalla sua parte la visione convulsa del futuro e nelle sue mani scheletriche una speranza “libertinomorfa”.

42
Il quadro lungo come un edificio, si può toccarlo ma non vederlo nella sua totalità, lo si può vivere, ballare dentro al quadro, si può svegliarsi la mattina e rivivere delle novità che lui assorbe, è un cannibale feroce, ci si può ubriacare dentro il quadro, ammalarsi e guarire, ricominciare a tessere un nuovo percorso e poi abbandonare tutto e ricominciare da capo con un nuovo ritmo, rinnovando sempre la dinamica folle della rivelazione.
Una volta abbandonato il centro, la lunghezza di una superficie è un dramma da percorrere.
Il quadro è una lunga passeggiata nel deserto, può finire con la vita.

44
Il paesino fantasma sparisce a certe ore del giorno e torna ad esistere nei momenti di silenzio, quando appare, l’acqua corre nelle fontane, le voci riempiono le piazze, i treni arrivano alla stazione, le banche aprono i portelli, le pompe funebri funzionano a meraviglia…mancano le nascite, tanto sono inutili perché le ore fra apparizione e sparizione sono brevi.
Nessun pittore ha mai dipinto l’epica vita del villaggio perché non esiste epicità, la morte cancella la breve vita dell’apparizione.
È impossibile innamorarsi, c’è solo il tempo per assaggiare un gelato.

 

J. Kounellis, La Perdita del punto di vista, éditions Jannink, Paris, 2008 traduzioni dall’italiano di Xavier Aubert.

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Registrazione della performance (durata 27' 44'')

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