L’arte non è un campo innocente

Il campo innocente

L’arte non è un campo innocente.

In questo periodo stai lavorando? Sei in lotta?
Riesci a fare entrambe le cose, o una esclude l’altra?
Cosa ti incendia? Cosa ti dà respiro?
Esistono rapporti di lavoro simmetrici all’interno del variegato mondo della produzione culturale-teatrale?
Senti che ti è richiesto di essere carin^, socievole, disponibile, brillante, compiacente etc. per ottenere lavoro o mantenerlo?
È possibile dire no? Quando hai detto no?
Hai paura delle conseguenze? Come dire dei no potenti, affermativi e gioiosi?
Chi può dirsi liber* da legami di potere che condizionano la libertà con cui si prende parola nella sfera pubblica?

No ai percorsi formativi fondati su umiliazione e violenza
No alla visibilità come compenso
No al silenzio sennò non lavori

L’arte non è un campo innocente.

Ti è mai capitato di subire discriminazioni rispetto a sessualità, orientamento, identità, colore, salute ++, relazione di cura sul posto di lavoro?
È chiaro quando sto subendo o agendo violenza?
Possibile che debba caricarmi la formazione di chi mi discrimina?
Nella pandemia non siamo tutt_ espost_ e vulnerabili nella stessa misura, asimmetrie e diseguaglianze diventano anzi più forti: donne, persone trans, non binarie, non bianche, razzializzate, disabili, malate, genitrici non sono espost_ allo stesso modo di altri soggetti.
Vorrei dire no se altr_ non hanno alcuna scelta. Vorrei dire no ma non vorrei essere sol_.

La mia performance è una performance, la mia vita NO
No alla romanticizzazione della vulnerabilità in virtù di pratiche artistiche “autentiche”
No agli ambienti di lavoro che non tengano conto del benessere psicofisico delle persone

L’arte non è un campo innocente.

Visto che stiamo modificando i teatri, perché non usare questo tempo per metterli finalmente a norma rispetto a sicurezza e accessibilità per poter accogliere tutt_ lavorator_?
Vorrei che la ripartenza venisse pensata non per i corpi più prestanti ma per chi, nel fisico o nel cuore, necessita di altri ritmi e altre cautele.
Vorrei che non si pensasse solo al pubblico atletico ma anche a quello che, ad oggi, non può uscire di casa.
Per chi facciamo spettacolo?
Quant_ collegh_ non bianch_ hai?
Quant_ curator_ e/o direttor_ non bianch_ conosci?
Quando sali sul palco, di quante e quali soggettività è composta la platea per cui ti esibisci?

No all’offrire a performer transgender SOLO ruoli come persone transgender
No all’offrire a performer non bianch_ SOLO ruoli come persone non bianch_
No all’offrire a performer con disabilità SOLO ruoli come persone con disabilità
No alla netta maggioranza di maschi cisgender bianchi abili in posizioni di potere istituzionale/di curatela/di direzione artistica

L’arte non è un campo innocente.

Ti capita di lavorare in momenti in cui non percepisci di star lavorando? È un confine chiaro? Quanto ti sono familiari le dinamiche di autosfruttamento? Com’è possibile rendicontare l’immaginario, il desiderio, il tempo della vita, delle relazioni, della cura?
Vorrei che i soldi delle residenze e delle produzioni, dei bandi e dei circuiti venissero investiti per permetterci di fare ricerca e formazione sotto compenso, perché questo tempo non lo conosciamo e se non lo attraversiamo saremo sempre più lontan_ dal resto del mondo.
I ritmi della produzione artistica possono voler essere lunghi, che il mercato rispetti questi tempi senza imporre i suoi.

No al fare comunque
No alla novità
NO. Non abbiamo bisogno di riaprire le attività, se non esistono le condizioni per farlo, in sicurezza e per tutt_

Che poi… produrre: ancora?
Cosa?
Perché?
E a che costo?
Chi può farlo?
E soprattutto: per chi?

L’arte non è un campo innocente.

Il “mondo dell’arte” non è un mondo a parte, stando “a parte” non otterremo nulla.
Tu che fai per vivere?
L’economia di chi fa arte è un’economia composita.
Invece di nasconderlo, potrebbe essere l’inizio per costruire alleanze tra ecosistemi. La pandemia ha scatenato la più visibile crisi della cura mai verificata e – d’improvviso – tutti i lavori di riproduzione sono diventati indispensabili: chi si prende cura dei corpi dell_ altr_, chi consegna il cibo, chi insegna a scuola, chi si occupa di bambin_, chi scrive, chi svolge il lavoro domestico, il lavoro invisibile, il lavoro sociale, il lavoro sessuale, il lavoro relazionale.
È tempo di un’ecologia politica transfemminista dell’arte. È questo il tempo di intrecciare le lotte, uscire dall’invisibilità, prendere parola.

No al parlare di “lavoro dell’Arte” e non di lavoro
NO. Il lavoro immateriale non è un privilegio
NO. Non stiamo tutt_ sulla stessa barca

Servono misure di reddito, serve aprire, rafforzare, spostare e allargare per tutt_ e per ciascun_ i confini di un welfare troppo stretto.
Vogliamo arte e cultura pubbliche. Vogliamo il diritto al reddito e servizi pubblici universali e gratuiti per tutto il lavoro non pagato che stiamo già svolgendo, che abbiamo sempre fatto: non siamo in debito, non lo siamo mai stat_.

Il Campo Innocente è una zona di immaginazione mutevole che raccoglie un raggruppamento di persone – artist*, ricercat*, lavorator* dell’arte dal vivo – che agisce attivando una forma collettiva di dialogo, ponendo l’attenzione sulle questioni della violenza, dell’abilismo, del sessismo, del colonialismo e della precarietà che ancora sopravvivono nel mondo dell’arte. Non si tratta di ispirazione quindi, ma della necessità impellente di affrontare temi che fino a oggi in Italia sono stati a malapena approcciati, se non addirittura estromessi dal dibattito artistico/politico. È l’esigenza di prendersi cura del proprio habitat fisico, culturale, relazionale, affettivo, e di trasformarlo. Nell’aprile 2021 costituisce la Rete Lavorat° Spettacolo e Cultura insieme ai raggrupamenti Autorganizzat_ Spettacolo Roma, C.l.a.p. Camere del lavoro autonomo e precario, Mujeres nel Teatro, Presìdi Culturali Permanenti, Professionist_ Spettacolo e Cultura, Emergenza Continua, R.i.s.p. Rete Intersindacale Professionist_ Spettacolo e Cultura, Vito Scalisi Presidente Arci Roma, occupando per 5 giorni il Globe Theatre di Roma, per affermare la necessità di ripensare un settore in crisi da sempre, rivendicare maggiori diritti per tuttI i lavori precari.

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